Accademia Italiana di Cucina – Università di Milano
Estetica della Tavola
Di: Gabriella Coronelli
Filosofia della Cucina ed Estetica della Tavola:
un Unico Mondo in divenire
secondo tempo – qui il primo tempo
La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura
Claude Levi Strauss
Riflessione doverosa: anni fa andai una sera a cena da uno chef, un famosissimo chef, al quale dissi che avevo accolto il suggerimento di un amico comune, con prontezza lo chef mi consigliò di non ascoltare le indicazioni di amici obesi, il loro rapporto col cibo non può essere né ottimale né obiettivo. La frequente partecipazione a convegni dedicati a cibo e cucina mi ha dato modo di constatare come la maggior parte dei relatori siano o sovrappeso (molto sovrappeso) o obesi. Il tavolo degli oratori, in questa occasione, è composto da persone piacevolmente in forma, abbigliati con gusto e personalità. Credibili.

“Estetica della tavola” è il percorso, avviato dal prof. Elio Franzini che ci ha introdotti a “Il Gusto della Tavola” una precisa e veloce esplorazione filosofica nel concetto di “gusto”, la sua evoluzione semantica ed estetica per concludere con questo concetto: “Il gusto della tavola porta dunque nuovamente alle origini del gusto, cioè alla sua valenza comunicativa e sociale. La tavola, lo abbiamo brevemente visto, è una mescolanza inestricabile di elementi affettivi, simbolici e razionali. Ma non possiamo dimenticare che questa mescolanza è l’uomo stesso, l’uomo nella sua socialità, nei suoi rapporti con gli altri, nella sua volontà di “ospitare”. I nostri sentimenti, lo sappiamo, sono come le nostre tavole: possono essere ciechi e lungimiranti, superficiali o profondi, ordinati o disordinati. Ma il valore – il gusto – di una tavola si misura dalla qualità dei sentimenti cui ci si appella, e che si vogliono trasmettere. La tavola, quindi, non necessariamente è immagine, e simbolo, del gusto. Ma può divenirlo, originando il senso di una retorica ormai perduta, quella della “ospitalità”, del suo valoro antropologico, simbolico e sacrale. Scrive il poeta greco Kavafis: “Perché non vengono anche i nostri ingegnosi oratori a tenere i loro discorsi, con l’eloquenza di sempre?”. E risponde: “Perché oggi arrivano i barbari: a loro non piacciono le frasi belle, Né i discorsi lunghi”. Appunto, arrivano i barbari: la tavola può essere un modo per contrastarli, restaurando, di fronte al disordine, all’insignificanza, alla barbarie, l’antica simbologia del dono. E il dono è quando, come scriveva l’antropologo Mauss, quasi per magia “le anime si confondono con le cose, le cose si confondono con le anime. Le vite si mescolano tra loro ed ecco che le persone e le cose, confuse insieme, escono ciascuna dalla propria sfera e si confondono”. L’ordine della tavola è questa confusione.”

Affascinati, “travolti da un insolito destino” in questo fluire di sensazioni suggerite con estrema puntualità e nitidezza, siamo introdotti , dal prof. Marco Turinetto, docente di strategie e sviluppo del brand al Politecnico di Milano, alla dimensione attuale “Il Design è in Tavola”. L’oggi è che moda-design-cibo si sono incontrati e contaminati per comunicare e coinvolgere con più incisività. Gli approcci sono 2: design del contenitore e coreografia nel piatto. Molti gli esempi di questa contaminazione:
- l’artista Clara Hallencreutz ha realizzato una serie di opere d’arte “taste Chanel” in cui declina il brand in versione food;
- Chanel, Prada, Moschino, Gucci, LV, sono alcuni brand coinvolti in sperimentazioni di contenitori fast-food-fashion;

- la testata del sito Yoox.com presenta una tavola imbandita in cui il cibo è filo conduttore del sapere;
- Ikea presenta le sue proposte tavola fotografandole dall’alto, cibo e oggetti perdono una dimensione diventando segno grafico, estetico;
- Chanel ambienta l’ultima sfilata in un centro commerciale, i colori del cibo esposto ispirano la palette dei colori;
L’attenzione al dettaglio tipica di opere di design la ritroviamo in semplici finger-food o singoli piatti; il ristorante, lo spazio, comunica con scelte di design precise e mai casuali:
- Paul Smith disegna i piatti che portano in tavola le coreografie dello chef Andrea Aprea al ristorante Vun Park Hyatt Milan;
- Dolce & Gabbana, a Londra, mettono in vetrina una suntuosa tavola apparecchiata.

La centralità del tema alimentare è evidente negli stili di vita e nelle scelte strategiche:
- LV ha acquistato la pasticceria Cova di Milano, brand esclusivamente milanese ma che può rappresentare nel mondo uno stile unico;
- Eataly è il secondo luogo più frequentato a new York;
- La pasticceria Marchesi di Milano è stata acquistata da Prada che ha allestito un intero piano, l’ultimo, di Harrods a Londra per far conoscere lo sviluppo che intende dare ai suoi punti vendita: a breve aprirà la prima pasticceria Marchesi in un negozio Prada;
- Già Jimmy Choo offre alle sue clienti il FashionTea;
- Anche le barche a vela Wally sono progettate e realizzate con la sala da pranzo, al chiuso o all’aperto, come fulcro della vita a bordo: non più semplice oggetto galleggiante ma luogo di convivialità.

La conclusione: se una volta era di moda avere abbigliamento di moda, ora è di moda andare in un ristorante di moda. E mai come con la cucina si può trasmettere cultura. Da Firenze la prof. arch. Maria Antonietta Esposito, docente di gestione del progetto presso l’Università degli Studi di Firenze, ci racconta di “Cibo e Cupole”. Nessun cibo appare in questo affascinante percorso narrativo che vede interprete il Brunelleschi e la sua cupola, opera incomunicabile … solo alla fine. Siamo nel 1417 e Brunelleschi realizza uno studio di fattibilità per la sua cupola che però non convince: a 55 metri da terra, nel vuoto, nessuno crede si possa realizzare una cupola che “regga”. Quindi si fa un concorso, lo vince il Brunelleschi, la sua comunicazione sul progetto continua ad essere criptica, da buon italiano teme di essere copiato, i suoi disegni sono tridimensionali, futuristici ma sempre incompleti. Frammenta il progetto, in tanti particolari costruttivi ma non offre mai una visione d’insieme. Quando si rende conto che deve far comprendere la forma senza ricorrere alla geometria, si scoprirebbe troppo, ricorre alla … rapa bianca.

“Connessioni di Gusto” è il racconto di un’esperienza collettiva fatta dalla prof. Elisabetta Cianfanelli, docente di industrial design presso l’Università degli Studi di Firenze, con i suoi studenti. Ci racconta di un grande sistema, il sistema alimentare italiano, che ha in sé connessioni di gusto diventate realtà, conosciute in tutto il mondo, grazie alla capacità di innovare: nel 1856 Feancesco Cirio mette in scatola i piselli che crescono in abbondanza in Piemonte; nel 1922 Luisa Spagnoli, per contenere i costi, crea un cioccolatino con granella di nocciola ed una sola nocciola a cui dà il nome di cazzotto per la forma che ne risulta, diventerà il Bacio Perugina; nel 1959 Spica, un gelataio di Napoli, inventa il cornetto, nel 1976 vende il brevetto ad Unilever che lo brandizza Algida. Praticamente ogni territorio ha un suo prodotto tipico con le potenzialità di diventare “famoso” e la capacità di portare con sé l’identità del territorio. Con i suoi studenti ha analizzato il territorio della Svizzera Pesciatina, 50kmq montuosi in provincia di Pistoia ricco (come tutti i territori italiani) di specialità gastronomiche che saranno trasformate in attuali eccellenze. Così i Brigidini di Lamporecchio diventano Brilecca: uno snack sullo stecco con ingredienti e gusto del Brigidino originale. Il Neccio, una frittatina di farine di castagne e acqua, diventa necciociok o necgelato; il salame della macelleria “Non solo carne” diventa salameball.

Il lavoro si estende studiando per ogni prodotto la vestizione, i colori, lo stile di comunicazione perché “il design può comunicare l’eccellenza italiana” e cita come esempio Emilio Pucci: oltre il gusto, indossare il gusto. Un video, realizzato all’interno, ci mostra un gruppo di lavoro giovane unito da volontà curiosità e certezze, la certezza di possedere le risorse, la cultura e la storia per offrire un futuro alle identità territoriali. Il dott. Paolo Petroni, presidente del Centro Studi dell’Accademia Italiana della Cucina “Franco Marenghi”, conclude l’incontro ricordando ruolo e significato dell’Accademia, impegnata in studi approfonditi di una materia, la cucina in particolare, con un ruolo non solo storico e scientifico ma anche morale ed etico, vitale. In questo l’Accademia continua a distinguersi grazie al costante lavoro di volontari con una conoscenza ben radicata del territorio, la capacità e la volontà di condividere e crescere: gli accademici sono 8000 con 211 delegazioni in Italia e 77 all’estero. I saluti finali spettano al presidente dell’Accademia, prof. Giovanni Ballarini. Chi lo conosce, o ha avuto modo di ascoltarlo, sa che il prof. Ballarini è non solo una mente aperta, è una mente vivace, creativa, capace di intrattenere senza sprecare una sola parola, dando valore ad ogni attimo di ascolto, l’incontro si chiude così all’insegna di attese, progetti, avventure del gusto in divenire, un continuo divenire.
nel PDF allegato potete leggere l’intervento completo del prof. Elio Franzini