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Very young chefs grow: Giovanni Gigante

Dalla Murgia Tarantina un percorso di affinamento

Di: Gabriella Coronelli

27 Aprile 2018

Categoria: ProfileFood

Preferivi di Ginosa ricordare il suo nome legato a due piante solari, la ginestra e la mimosa, con i loro colori ed i loro effluvi
Nicola Tuseo

Queste parole sono rivolte a Giosi Lippolis, scrittrice e poetessa nata a Ginosa da dove è emigrata con la famiglia negli USA per poi tornare nel sud Italia ma non a Ginosa. Uno di quei luoghi, Ginosa, capace di modellare con la sua luce, i suoi riverberi di mare e di roccia, la personalità di chi ci nasce e vive. Sospesa sul primo gradino delle falde meridionali della Murgia Tarantina, dove si erge a scrutare l’orizzonte dello Ionio  vide giungere gli Illiri, i cretesi e anche Pitagora. Da qui è partito Giovanni Gigante, very young chef, per intraprendere un viaggio professionale che lo sta portando a confrontarsi con realtà formanti impegnative: lo stellato Vicolo Santa Lucia di Cattolica, il Palace di Puerto de la Cruz – Tenerife, lo stellato Urbino dei Laghi, altro stellato Zafferano di Londra, una stagione al Cecconi’s tristellato di Londra, da settembre 2015 ad oggi è chef de partie al Restaurant Gusto del Metropole di Ginevra.

Ha 24 anni, si definisce: umile, determinato e creativo. L’etimologia della parola umile, dal sanscrito [bhumi] significa terra, e la creatura della terra è [bhuman], da cui [umano]: l’umile è qualcuno o qualcosa di autenticamente legato alla propria natura, poco elevato da terra. L’umiltà può anche essere quella descritta da Nietsche, il raggomitolarsi del verme pestato per evitare d’essere pestato di nuovo. L’umiltà, intesa come sentimento di piccolezza nei confronti della Divinità e dell’universo, è considerata da molte religioni una virtù fondamentale. Ecco, in definitiva, non saprei dire se in uno chef possa essere una virtù, avevo già espresso il mio punto di vista … è una definizione di moda, usata, a mio parere, impropriamente per gli chef.  Mentre, determinato e creativo sono caratteristiche che si colgono in Giovanni già nel suo modo di esprimersi ed esporre i suoi progetti per il futuro. La sua cucina ha al centro la materia a cui dedica uno studio di spogliazione che mette in risalto la struttura del gusto esposta , nuda, per offrire un’esperienza degustativa sempre diversa. Il territorio, quindi, la terra madre della materia e sorella di ogni altro territorio per allargarsi in felici contaminazioni senza limiti di genere solo la volontà di condividere, di rendere la convivialità più significativa. Tecniche di lavorazione e metodi alternativi alla tradizione, in evoluzione continua perché l’ispirazione non sia limitata da pregiudizi storici o da abitudini. Si definisce un “cuoco paradossale destrutturato” come le giacche di Boglioli, chi non si è sentito figo indossandone una? Questo l’obiettivo di Giovanni, farti sentire bene, creare un’intesa tra palato e materia grigia, un “momento proustiano”, una memoria profonda, involontaria.

Sfidante, ambizioso, un disegno elaborato facendo tesoro di errori e consigli, si ispira a Massimo Bottura che considera la figura professionale più eclettica e dinamica del momento. Pensa allo chef come colui che fa la spesa, prepara il pane, ascolta i suggerimenti dell’attimo ma decide e sceglie cosa e come preparare spinto dalla sua visione interiore. L’ideale sarebbe creare una struttura, una cucina, una brigata, capace di soddisfare le diverse scelte nutrizionali: le esigenze di sostenibilità ambientale impongono di avere un occhio attento e correttamente tarato per accogliere l’eredità offerta dalla cucina mediterranea, fonte di salute e benessere, composta per l’80% da materie prime vegetali. Il suggerimento che Giovanni offre a chiunque è di riportare la cucina al centro della famiglia, rimettiamoci a tavola, come famiglia, coltiviamo, attraverso il cibo che mettiamo in tavola, valori, esperienze, ascoltiamoci, parliamo, sorridiamo, torniamo a fare della tavola un momento quotidiano di crescita famigliare, con la televisione spenta.