Dal Brand a Daniza… passando dalla rete
Territorio brand globale da salvaguardare
Di: Gabriella Coronelli
Aggiornamento del giorno 11 settembre 2014
Si è conclusa oggi, tristemente, la vicenda di Daniza: è morta assassinata da una classe politica arrogante e inutile. Tutti sono collusi, non facciano finta i produttori e i commercianti, di non essere coinvolti in questa drammatica esperienza speculare di abitudini e attitudini alla prevaricazione. Nessuna delegazione né di imprenditori né di commercianti ha provato ad intervenire a difesa del diritto alla vita, in difesa dell’etica del territorio, in difesa di valori che, evidentemente, non sono condivisi da chiunque operi in questa regione che si sta rivelando in tutta la sua miserevole miseria.
GlamFood sta con Daniza, stiamo rimuovendo dal sito tutti gli articoli pubblicati relativi al territorio e alle eccellenze del Trentino. Pubblicheremo un dettagliato redazionale che motivi le nostre scelte, invitiamo tutti i foodies a prendere le distanze e accertarsi dell’origine dei prodotti scelti e consumati.”
Nel nostro “sistema”, sempre più interconnesso, succede anche che l’orsa Daniza, suo malgrado, si ritrovi chiacchierata e discussa sulle pagine di food e wine blogger. Quale percorso ha portato l’inconsapevole creatura a ciò? Partiamo da un assunto che lascio definire a Tommaso Pincio : “-Fare brand– significa ammantare qualcosa di un’aura, ovvero di un universo complesso e desiderabile al quale si accede venendo in possesso dell’oggetto medesimo. Quando un consumatore compra un prodotto brandizzato, oltre al prodotto in sé, si porta a casa anche lo stile di vita che la marca di quel prodotto evoca.”

Quando si tratta di food e/o wine il brand si arricchisce dei valori rappresentativi del territorio, della storia, dell’etica che il consumatore si attende di vedere confermati dal quotidiano, le scelte etiche e gli eventi confortano o meno le attese del target. La provincia autonoma di Trento ha avuto la sbadataggine di fare, con molta fretta, scelte politiche che hanno fortemente macchiato il “brand”, forse non ha tenuto conto delle nuove forze in campo, prima di tutto i social. Non ha tenuto conto del contesto e delle volontà del target: è inevitabile che in una società, come la nostra, in cui 7 utenti su 10 scelgono le vacanze al mare a discapito della montagna, chi sceglie la montagna e i laghi è più scolarizzato, è più attento nella scelta dei consumi, le motivazioni di scelta non sono puramente economiche e coinvolgono valori legati all’etica e alla cultura [fonte ]. Strano a dirsi questo profilo di consumatore è molto affine al profilo dei vegetariani, vegani, animalisti, antispecisti (7 milioni in Italia in crescita esponenziale)che, alla notizia della decisione provinciale di sopprimere Daniza e i suoi figli o di catturarla per farla vivere prigioniera, hanno reagito con immediatezza e determinazione.

Ciò anche perché i motivi sono veramente futili: uno scentrato cercatore di funghi ha provato ad avvicinarsi troppo ai piccoli di Daniza nella speranza di realizzare il selfie del secolo, la mamma, naturalmente sprovveduta in termini di selfie, ha reagito allungandogli una zampata (e gli è andata di lusso, a lui; è andata molto peggio a quel cercatore di funghi confuso per un cinghiale da un cacciatore che gli ha sparato uccidendolo); in cerca di visibilità, il nostro cercatore egocentrentino ha sollevato un putiferio accusando la inconsapevole e attenta madre di avere attentato alla sua vita. L’evento è commentato e documentato in questo articolo de Il Fatto. Il target in questione è molto stressato, impotente di fronte all’olocausto quotidiano dei 16,5 milioni di animali che ogni giorno sono massacrati per dare da mangiare a 3 miliardi di onnivori; a questi sono da aggiungere gli animali massacrati inutilmente da cacciatori; quelli massacrati per la loro pelle o pelliccia; quelli catturati e massacrati da esibire in circhi, parchi acquatici, parchi zoologici; i pesci e crostacei che non si possono calcolare; se a tutto ciò aggiungiamo anche i cercatori di funghi a caccia di visibilità e vendette private, insomma è comprensibile che si raggiunga il limite. La reazione più strategica è stata certo quella rappresentata dall’hastag #boicottiamoiltrentino: un consistente numero di consumatori abituali del brand “Trentino” ha ritenuto opportuno comunicare, a produttori della provincia, la loro volontà di non acquistare più alcun prodotto o servizio che provenga dalla provincia.
Scelta legittima e moderata, comunicata con educazione.

Abate Nero, una cantina voluta e mantenuta da un gruppo di amici che con competenza e passione producono “bollicine, sempre più singolari, buone, prestigiose, indiscutibili esempi del Trento DOC” ricevono, anche loro, le suddette e-mail. Poiché sono stati tirati dentro in questa faccenda senza poter scegliere e senza poter influenzare le scelte, decidono di rendere pubbliche alcune delle e-mail che ricevono a testimonianza di una situazione che sta coinvolgendo tutti gli imprenditori trentini. Andrea, uno dei soci della cantina promotore di questa scelta aziendale, interpellato spiega, con la massima chiarezza, che la loro non è una presa di posizione ma la volontà di comunicare una realtà e come questa realtà sia manifestata con garbo e educazione, nessuno è stato minacciato o insultato così come nessuno di loro ha voce in capitolo né singolarmente né in alcuna forma associativa, nonostante ciò rischiano di ritrovarsi a pagare il conto per conto di chi ha fatto scelte affrettate, senza tenere in considerazione lo scenario sistemico, semplicemente per dare soddisfazione al proprio esercizio di potere. Sia chiaro, sulla propria pagina Facebook la Cantina Abate Nero non si esprime né pro né contro la scelta politica. La decisione della cantina scatena i benpensanti food e wine blogger che si ritengono investiti di un potere supremo che li autorizza a giudicare, due esempi: Michele Corti, saccente onnisapiente ruralista che scrive di food e di ogni altra cosa “(28.08.14) La primaria azienda spumantistica trentina Abate Nero, ricevute minacce di boicottaggio da presunti clienti fa come Don Abbondio e si precipita a genuflettersi all’animalismo dando loro ragione e pubblicando le loro lettere. E gli allevatori allora? – (Ir)responsabilità sociale – Imprenditoriale Abate Nero Don Abbondio (non Dom Perignon)” Sconsiglio la lettura dell’articolo, tempo perso.
Interviene anche il wine blogger Andrea Petrini “La cosa che mi fa incazzare, invece, è leggere su Facebook il profilo di una importante azienda del Trentodoc, Abate Nero, … Di seguito, tanto per farvi capire la follia alla quale siamo arrivati, pubblico le lettere che Abate Nero ha messo su Facebook. Saranno risate amare….” l’articolo è breve e non dice nulla, entrambi i blogger pubblicano tutte le lettere apparse sulla pagina Facebook di Abate Nero, Corti manda un messaggio a Petrini gongolandosi ma il Petrini se ne guarda bene di ricambiare la cortesia e leggere o commentare l’articolo di Corti che rimane così privo di ogni accenno; da parte di nessuno il benché minimo sforzo di capire cosa sia successo, di capire se tra le righe si possa ricavare una lezione per evitare in futuro lo stesso errore.

Reale o immaginario che sia l’allarmismo generato da questo evento, certo è che pochi hanno la consapevolezza del valore intrinseco dei brand, delle potenzialità dei brand, non avendo una visione sistemica generano conflitti tra i potenziali consumatori che sicuramente danneggeranno l’immagine del territorio, dei prodotti e vanificheranno sforzi e investimenti. Non solo nel food, in ogni settore; se mai il prossimo anno le numerose famiglie che avevano deciso di non portare i loro figli a Gardaland ma di portarli nei boschi di Trento, non lo faranno perché hanno paura di essere divorati dall’orsa Daniza, avverando così le catastrofiche profezie del Corti, certo è che da subito diversi (sui social si possono trovare molte dichiarazioni in tal senso) hanno disdetto le loro vacanze previste a Trento per manifestare il loro dissenso. Non importa quanto siano eccellenti i prodotti tipici, fantastici i vini DOC, quanto i piccoli imprenditori si siano impegnati per offrire servizi degni del territorio, un lavoro lungo e costante vanificato da un momento di vanagloria politica.