. . .

Loading

Daniel Canzian chef-enlève storia di gusto e stile

All'Ambasciata del Gusto una performance indimenticabile

Di: Gabriella Coronelli

11 Giugno 2016

Categoria: ProfileFood

“Tutti possono cucinare”
Gusteau dal film Ratatouille

Sarebbe una noia, ripetere che ogni domenica all’Ambasciata del Gusto è un successo … non lo dirò, mi limito a dire il perché. L’organizzazione e la gestione dell’evento sono ottime, non è così scontato rendere funzionante e funzionale una buona idea, i ragazzi dello staff dell’Associazione Maestro Martino ci sono riusciti. L’evento è presieduto con attenzione, Simona, Francesca e Massimo sono pronti a rispondere e risolvere qualsiasi quesito, la “macchina” funziona anche grazie ad un ambiente di lavoro proattivo e stimolante. A ciò aggiungiamo Daniel Canzian, sorridente e gentile con chiunque, ha elargito e condiviso la sua esperienza la sua arte, generando una situazione partecipata e appassionata: alla coocking-class delle 17,30 si è lavorato con un folto pubblico di appassionati che facevano domande, ascoltavano e prendevano appunti, entusiasmo crescente per il piacere di scoprire non solo ricette, anche segreti trasferibili nelle cucine casalinghe.

Una giornata snocciolata tra situazioni diverse: iniziamo con lo show-coocking. Matteo, sous-chef braccio destro di Daniel anche lui veneto in sintonia sinergica con lo chef, prepara “Divisionismo in cucina … un risotto exponenziale” creato lo scorso anno per Expo partendo da un presupposto: il riso è alimento consumato in tutto il mondo ma il “risotto” è esclusivamente lombardo/veneto; le spezie aggiunte sono indiane, delicate, non sovrastano il gusto lo allargano a sensazioni caratteristiche di paesi lontani dove il riso è espresso da codici molto diversi. Il riso utilizzato è il Carnaroli vero della Tenuta San Massimo, unico riso che possa offrire questi risultati di gusto.

Procedimento semplice, in apparenza, manifesto di un sapere praticato con attenzione, una forma di meditazione, per ascoltare la trasformazione in cottura fino al compimento assoluto. Tra gli ingredienti si trovano 2 elementi che meritano un approfondimento: brodo leggero di verdure affumicato e burro acido [qui le ricette]. Dopo la degustazione del chic-nic sull’erba in chiave urban-country, con bambini cani nonni e biciclette, durante il caffè con lo chef, Daniel ha risposto a domande e ci ha rivelato i lati della sua personalità che si ritrovano in ogni creazione a testimoniare come l’esperienza venga miscelata, con il tempo e con l’esercizio, alla volontà individuale alle emozioni ai ricordi divenendo un unicum indivisibile dal suo interprete.

Ascoltiamo, ascoltando Daniel si ha la sensazione precisa che tutto ciò che dice sia come avvolto in una garza di lino, fresco naturale semitrasparente, le sue  consapevolezze avvolgono le sue espressioni rendendole compiute, credibili, è un piacere. Vive le esperienze, nella loro globalità nel loro essere sistemiche, da cogliere come insieme il cui valore è superiore al valore della somma delle parti. Si riferisce in modo specifico a questa esperienza, l’Ambasciata del Gusto, e ai giovani chef che partecipano auspicando che abbiano la sensibilità per cogliere il valore aggiunto rappresentato dall’insieme composito: gli chef, i colleghi, il contesto, gli eventi. L’esperienza va contestualizzata, non è fine a sé stessa,  la ricerca, le proposte non possono prescindere dal contesto, il sushi, qui è decontestualizzato. Ambasciata del Gusto è un’opportunità, una palestra, per esercitare i sensi alla comprensione.

Daniel ha avuto un maestro, Gualtiero Marchesi, molto legato all’oriente, al Giappone in particolare e anche lui è affascinato dalla cura dei particolari, dalla capacità di trasformare piccoli gesti quotidiani in rituali quasi poetici, cita i 3 scalini di ingresso alle case giapponesi – il primo per lasciare le scarpe, il secondo per appoggiare i piedi nudi, il terzo per infilare le ciabatte –  e i giardini giapponesi dove il contrasto tra cielo e terra crea l’armonia. La stessa armonia di gusti, scritta da equilibrati contrasti l’abbiamo trovata nel piatto servito per il chic-nic “Trota al profumo di acetosella, ortaggi in festa”: il cuore tenero naturale dolce in contrasto con l’esterno e le verdure minerali vivacizzate da una nota acida; nel riso “Divisionismo in cucina” l’armonia è creata dal sofisticato contrasto generato dalla nota affumicata del brodo.

Il piatto simbolo di Daniel è il suo minestrone, ispirato da Gualtiero Marchesi e Michel Truchon, è ironico: possiede il rifiuto di ogni artificio caratteristico di Truchon e la sorprendente acidità fruttata dell’acqua di pomodoro proposta da Gualtiero. Il risultato è “EQUILIBRIO come EQUIVALENZA tra sapore colore luce occhio mente e anima”, così parlò Daniel. Si sente a disagio nella categoria “chef innovativo”, ha iniziato il suo percorso professionale a Milano da Gualtiero che gli ha chiesto di preparare polenta e baccalà e ogni altro piatto della tradizione, in contrasto con l’offerta “innovativa” del centro di Milano, uno straniero in patria, la vera innovazione: comprendere che non siamo extracomunitari. Non siamo una nazione imperiale, come la Francia dove la cucina era praticata nelle cucine reali e da lì si è diffusa, la nostra realtà è fatta di trattorie, ostelli, la nostra cucina è nazionalpopolare alimentata da prodotti autoctoni, una varietà unica al mondo, una stagionalità ricca in qualsiasi periodo dell’anno e la capacità di chiunque di trasformare. La rivoluzione di Daniel sta nella scelta di utilizzare solo le “note” necessarie, come Bach nelle Variazioni Goldberg: con 2, 3 elementi un piatto è fatto l’armonia si ottiene con l’esecuzione. Questo è il consiglio per chi cucina quotidianamente: pochi elementi, niente soffritto, chiedersi “questo a cosa serve?” aggiunge, copre, diluisce … non si usa; esalta, armonizza, nutre … si usa.

Ha molto rispetto per coloro che scelgono vegano pur non condividendo totalmente la filosofia. La sua filosofia è la ricerca dell’alimento sano, sicuro, rispettoso dell’ambiente, capace di garantire un futuro. Non condivide l’industrializzazione, il vegetale che impatta sull’ambiente e sulla salute tanto quanto le proteine di origine animale;  la maionese con la soia non ha senso, l’hamburger di soia neanche, la dieta mediterranea è composta al 70% da prodotti di origine vegetale non serve ricorrere a palliativi per nutrirsi di qualcosa che non sia di origine animale ma lo ricorda nel nome e nella texture. Condivide l’ottica etica dei vegani: è disposto a rinunciare a qualsiasi cibo se questa rinuncia comporta un miglioramento della qualità della vita per coloro che tra 20 anni subiranno le conseguenze delle nostre scelte attuali, perché di questo si tratta. “Prediligo le verdure, la mia missione è dare il meglio sia a chi vuole carne e chi no”.