Donare è il miglior modo di comunicare
Vino, il dono sintesi di valori
Di: Gabriella Coronelli
“Vi è più felicità nel dare che nel ricevere”
Colui che espresse questo principio conosceva molto bene la natura umana e sapeva che l’atto del donare è legato alla felicità individuale del soggetto, di chi dona, non semplicemente di chi riceve. Donare è un gesto sovvertitore, nasce dalla libertà individuale e accende una relazione non generata dall’utilitarismo. È un atto autentico di umanizzazione, anche in questa strana epoca di abbondanza e opulenza esibite, in cui si potrebbe praticare l’atto del dono per comprare l’altro, per neutralizzarlo e togliergli la sua piena libertà. Ambiguità questa che perverte il significato del dono, non certo nuova nella storia delle relazioni umane “Timeo Donaos et dona ferentes” [temo i Greci anche quando portano doni – Troia insegna], dicevano gli antichi latini.

Oggi, poi, assistiamo ad una forte banalizzazione del dono: si dona con gli sms una briciola asettica a chi ci viene indicato dai massmedia come meritevole delle nostre fuggevoli attenzioni.
Donare è un’arte, ogni dono comporta il dare un po’ di sé stessi, di ciò che si è; il dono è semplicemente transitato nelle nostre mani, per un breve periodo, oggetto destinato a chi lo accoglierà arricchito del valore della nostra scelta che potrebbe accendere una relazione non generata da uno scambio, senza attesa di ritorno. Il dono figura due valori intrinsechi: la volontà di trasmissione e la sua inspiegabile traccia all’interno di un essere. Sia a chi lo fa che a chi lo riceve, pare appartenere ad un futuro disegno universale, ha una connotazione positiva, creativa, è un richiamo alla presenza. L’offerente emigra, col dono, una parte di sé e si attende che il ricevente riconosca questo pezzetto di sé come qualcosa di unico, una volontà di intesa esclusiva. Il momento dell’acquisto, della scelta del dono, è un momento importante e l’abbigliaggio con cui si presenteranno i papabili doni sarà il vettore, il ponte levatoio che introduce ad un castello fantastico o ad un castello da incubo.

Il vino è riconosciuto universalmente come portatore di valori eccelsi: la storia, il territorio, l’ambiente, l’uomo, il lavoro. Questi valori sono componente essenziale delle motivazioni di scelta, veicolati dall’immagine del prodotto che promette, attraverso l’occhio educato o novizio, un’esperienza non semplicemente degustativa, un percorso con una valenza estetica tale da renderlo unico. Sono valori che hanno fatto del vino un “oggetto” di dono molto ricercato; quando si tratta di acquistare un dono, l’acquirente procede attraverso un percorso mentale inverso rispetto a quando acquista un bene di consumo destinato a sé stesso: una volta definito il prodotto, sceglie la marca e poi definisce il budget di spesa. Ciò che importa è che il prodotto e la marca siano in grado di comunicare valori ed emozioni coerenti alla volontà di chi dona. Gli atteggiamenti di chi acquista sono archetipi consolidati, adottati nella convinzione che si economizzino pensieri ed energia, è pertanto improbabile modificarli; conviene che l’azienda si attivi per inserire i propri prodotti nel “sistema di atteggiamenti” esistente, inventare un nuovo sistema sarebbe costoso sia in termini di costi che di tempo.

Un comportamento d’acquisto complesso, come quello che conduce al vino di qualità, è alimentato da un alto coinvolgimento e significative differenze tra le marche.
L’acquirente considera il prodotto un insieme di attributi, ognuno dei quali contribuisce a definire i benefici attesi e a soddisfare i bisogni connessi: è una procedura di valutazione. Questi attributi faranno la differenza tra la marca scelta e tutte le altre e coinvolgono in misura “intima” l’acquirente che, non dimentichiamo, da questo acquisto attende, anche solo una goccia, di felicità. La tensione emotiva è determinata da quanto vedrà e toccherà. È una scelta strategica quella che consentirà che veda e senta l’azienda in tutta la sua valenza estetica: grafica, materiali e forme contribuiscono ad una percezione profonda che non si limita al prodotto e danno consapevolezza che quella cantina è complice, connivente, nel raggiungimento di un obiettivo personale ambito “accendere una relazione”.
Le sensazioni di soddisfazione o insoddisfazione generate avranno conseguenze sui comportamenti successivi dei consumatori, l’acquirente soddisfatto, anzi esaltato, è un patrimonio aziendale, è un comunicatore virale, è il futuro dell’impresa. L’acquisto non è certo il risultato di scelte approssimative, è un processo con radici in professionalità specifiche capaci di dirigere processi decisionali attraverso un percorso indicato da codici compositi: la brand, il marketing, la comunicazione, l’immagine, le emozioni.

La quantità di informazioni e la “crisi” attuale hanno incrementato il valore del vino come dono ma anche la percezione di qualità da parte dell’acquirente che non è disposto a “pagare” extra, oltre al valore del vino scelto, come confezioni che danno la sensazione di essere oggetti più di compiacimento del produttore che non oggetti di utilità per l’acquirente o per chi riceve il dono. È utopia pensare, credere, che le “riproduzioni artistiche” delle cantine o dei luoghi del vino, riportate sui coperchi delle cassette di legno, diventino “Quadri di un’esposizione” privata; così come solo oggetti di consolidato design potranno diventare portabottiglie graditi ed esibiti.
Viviamo l’epoca del “basso impatto ambientale” e dell’ottimizzazione delle risorse individuali, economiche e materiali, l’epoca dell’ascolto non dell’imposizione, le strategie sono suggerite dal mercato non dalle agenzie di markettari, il segreto è: attiviamoci per far parlare il mercato, per ascoltare il mercato, per rispondere coerentemente al mercato. L’epoca in cui è sufficiente saper scegliere il vino giusto e non c’è bisogno di “secondary packaging” elaborati e strategici per stupire, per attrarre la scelta, per lasciare il segno, per attivare il sogno.
Che vino vorreste ricevere come dono?