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Estetica del cibo in tavola

scenario di eccellenze

Di: Gabriella Coronelli

15 Novembre 2012

Categoria: ProfileFood

“Credo che la creatività dipenda in gran parte dalle nostre relazioni con la gente, i rapporti personali con i nostri compagni di vita o di lavoro. La felicità, o l’infelicità, di ognuno di noi emergerà sempre nelle nostre opere: è il riflesso delle nostre emozioni e le due cose non possono essere mai separate.” 

Dovrei essere all’inaugurazione della mostra di Mauro Maffezzoni a Milano ma è tutto il giorno che perseguo e coccolo un’idea da sviluppare e, come sempre, a quest’ora la mia mente è colma di volti, sensazioni, persone e voci che prendono corpo.

L’estetica del cibo, questo il filo conduttore, estetica come valore spirituale, intrinseco del cibo. Il cibo è oggetto che percorre il fragile confine tra il sublime e il kitsch, da una parte o dall’altra è una brezza di nulla a condurlo. Le materie prime più eccelse e le preparazioni più creative e stimolanti possono perdersi, non appagare i sensi, deludere se presentate, offerte senza stile.

L’art de la table” è l’arte che accosta al cibo una delle espressioni creative più eccelse e complesse: l’architettura, il design. È sempre con emozione e sommo riguardo che esploro i mondi dei designer, degli architetti.

Naturalmente il primo nome ad impossessarsi della mia ragione è Alberto Alessi, negli anni 70 del secolo scorso porta in tavola, finalmente, la gioia, il colore, la forma essenziale. È lui a mettere fine alla drammaticità delle tavole ferme agli stili “dopoguerra” in cui l’esagerazione di tutto rappresenta la capacità di uscire dalle difficoltà. Alessi ci ridona il gusto delle forme pure che contengono e valorizzano gusti e forme del cibo.

A portare in tavola i nostri dolci è un leggiadro ballerino che sostiene un invisibile disco di vetro; portafrutta come ologrammi di coralli o spaghetti di legno o quadretti di carta nel vento; le pentole tornano ad avere forme sensuali da portare in tavola perché vestono il cibo con stile e provocano il desiderio; posate spiritose che danno allegria alla gestualità … tutto è nuovo, diverso, molto diverso.

Da Alessi ad un uomo che ha insegnato molto a molti con quel suo modo di porsi umile, energetico, vitale, il passo è presto fatto: Jan Kaplicky.

Nel 1968 fugge con la sua famiglia dalla Cecoslovacchia invasa dai carri armati russi e approda a Londra. Non potevo saperlo, non ero in età, ma quando lo scopro questa cosa solletica la mia curiosità, desta la mia ammirazione, fa di lui una persona che merita la mia attenzione, lo spio attraverso le pagine di Domus, le sue forme architettoniche mi suggeriscono i mondi di Isaac Asimov, si assomigliano in qualche modo, Jan e Isaac.

Che per Alessi disegnasse nel 2008 Bettina, un servizio da tavola sintesi di purezza, complessità e armonia di forme, è semplicemente il compimento di qualcosa che doveva essere e solo così poteva essere. 

In questo breve racconto di Filippo, leggiamo uno spaccato bellissimo, emozionante di Kaplicky:

“… Proprio per questo Jan mi stupì ancora una volta quando venne a farci visita in studio Alberto Alessi con sua nipote Chiara…..quando ci portò a cena al ristorante Wolsley (uno dei più prestigiosi ristoranti di Londra) e così non potrò mai dimenticare la strana sensazione provata nel realizzare quella situazione. Io seduto al tavolo con Jan Kaplicky e Alberto Alessi, mentre si parlava del Design oggi e di nuovi e futuri progetti, di viaggi e di cucina. Mi sembrava impossibile che quelle due persone stessero ad ascoltare le mie opinioni e che mi facessero anche domande alle quali chiaramente rispondevo sempre con grande timore. Parlavamo dei miei studi e delle mie passioni mentre ai tavoli dietro di me arrivava trafelato il nuovo sindaco di Londra con un buffo zainetto sulle spalle, mentre poco lontano da noi sedeva lo stilista Roberto Cavalli. Che situazione surreale.”

La filosofia di Kaplicky è riassunta nelle sue parole che ho utilizzato in apertura, da lui espresse durante un’intervista rilasciata al quotidiano inglese The Observer; pensiero ampio leggibile negli occhi profondi e malinconici che lui puntava con sete curiosa su ogni interlocutore.

Ho voluto, così, illustrare il processo che trasforma una tavola da luogo di consumo a luogo estetico: come il cibarsi non è mera azione di nutrirsi, così la tavola è lo scenario in cui il cibo diventa eccellenza arricchito dalla creatività, dall’esibizione dell’ospitalità, dalla convivialità.

Tutti i popoli hanno la loro cultura della tavola, ogni epoca ha avuto la sua espressione artistica in tavola. Il segno, espresso nel design più funzionale e accattivante, ha sostenuto la diffusione, nel mondo intero, della nostra cultura sia del cibo che dell’ospitalità.

Ogni volta che siamo ospiti, di uno chef nel suo ristorante o di amici in casa, il nostro sguardo insegue, come prima cosa, i dettagli della tavola e, quello che vediamo, condizionerà le nostre percezioni anche del gusto.

Immaginare che, insieme allo chef e al suo staff, Kaplicky, Achille Castiglioni o Toyo Ito abbiano allestito la tavola che ci accoglie dà valore aggiunto a ciò che degusteremo.

L’intero racconto diFilippo sulla sua esperienza professionale con Kaplicky a questo link