Identità Golose Milano 2016
La forza della Libertà
Di: Gabriella Coronelli
Identità Golose Milano 2016, innegabilmente la più importante kermesse culinaria italiana, questa edizione aveva come tema “La Forza della Libertà”; va sottolineato che il tema di Identità Golose è un po’ come è stato il tema di Expo 2015, “Nutrire il pianeta”, non gliene importa niente a nessuno di essere coerenti col tema, tutti hanno pagato per essere lì, quindi sono lì per dire la loro. Punto. La dodicesima edizione del congresso è presentata sul sito con alcune osservazioni che meritano riflessioni attente e un po’ critiche.

La prima riflessione è da fare proprio sulla parola libertà, il suo significato e le sue implicazioni trasferite nel cibo, a tavola: la libertà tipica della maturità mentale ha la caratteristica fondamentale di essere assertiva, il costrutto dell’assertività è costituito dall’idea di libertà come capacità di affrancarsi dai condizionamenti ambientali negativi e comprende la conoscenza di sé e della propria personalità, della teoria dei diritti assertivi (in ciò è inclusa l’idea della reciprocità, ovvero il medesimo diritto di avere desideri e convinzioni e di perseguire obiettivi individuali viene riconosciuto anche agli altri). Il secondo aspetto riguarda la forma dell’assertività, ovvero la capacità di esprimersi in modo più evoluto ed efficace, tradotta quindi in abilità non verbali e verbali, più in generale, in competenza sociale. L. Philhps (1968) ha definito questa competenza come l’ampiezza con cui l’individuo riesce a comunicare con gli altri, in modo da soddisfare diritti, esigenze, motivazioni e obblighi, in misura ragionevole e senza pregiudicare gli analoghi diritti di chiunque sia trasversale al vissuto individuale“. In questo caso la persona assertiva vive in modo chiaro e tecnicamente efficace, emozioni, sentimenti, esigenze e convinzioni personali riducendo sempre più stati di prevaricazione, sfruttamento, prigionia, sofferenza, morte violenta altrui.

Chiunque sia ad aver scritto la presentazione del congresso, compie un volo pindarico/filologico/sofico: “Se nel 1862 il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach scrisse “Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia”, un secolo e mezzo dopo sembra imporsi l’esatto contrario: L’uomo è ciò che NON mangia. Fateci caso, ma sempre più individui si identificano in quello che rifiutano, non più in quello che prediligono. E tanti tra loro vorrebbero imporre le loro scelte agli altri.
Questo vogliamo ricordare e ribadire. L’uomo è un animale onnivoro … Guai ritrovarci schiavi di pregiudizi, ottusità, schemi, tutti fattori che mortificano il genio creativo di un cuoco (e non solo il suo) e imbrigliano i gusti e i desideri dei clienti.” In questa frase, retorica, trapela tutta la superficialità di cui si è ammantato l’universo food; decontestualizzare l’affermazione di Feuerbach è leggermente disonesto. La banalizzante sintesi feuerbachiana “l’uomo è ciò che mangia” (der Mensch ist was er isst) è, in realtà, fulcro di una riappropriazione culturale, in chiave antropologica, della dimensione – in altre civiltà essenziale – dell’alimentazione intesa quale forma di miglioramento dell’essere. Il cibo, considerato sacro nelle tradizioni primitive, diventa una banale risorsa in dispensa per il borghese del diciannovesimo secolo la cui dieta, per esorcizzare secoli di penuria in un momento di spettacolare disponibilità, è smodatamente ipercalorica. È un mangiare senza pensiero, senza cogliere il nesso tra il modo in cui si consuma il cibo ed il modo in cui l’uomo costruisce la propria identità. Quindi, decisamente fuori luogo in un contesto come Identità Golose , dove il titolo stesso, smentisce ogni volontà di ricerca etica e di matrici sociali.

Sull’onda emotiva generata dalla citazione filosofica, ci scappa un assioma rivelatore “l’uomo è un animale onnivoro”. E allora? La caratteristica degli animali onnivori è quella di possedere un apparato digerente in grado di digerire sia cibi vegetali che animali; questo ha consentito ai nostri antenati di sopravvivere anche nelle condizioni ambientali critiche che hanno dovuto affrontare nel passato, quando la spettanza di vita di un individuo era in media di 20-30 anni. La conclusione semplicistica che vede nell’onnivorismo l’obbligo di assumere anche cibi animali è priva di fondamento. In epoche evolute, la condizione di onnivorismo è la chance che la natura ha donato alla specie umana per sopravvivere in un ambiente il più possibile “intatto”: l’onnivoro non è costretto a mangiare carne o altro cibo di origine animale per sopravvivere. Bisogna riflettere sui dati messi in evidenza dai principali studi epidemiologici, che dimostrano come l’assunzione di prodotti di origine animale, carne in primis, è correlata alle più frequenti patologie degenerative dell’epoca del benessere, ovviamente solo in quei Paesi del mondo che il benessere possiedono.
Mentre la maggioranza dell’umanità, anche a causa dello spreco di risorse dovuto all’enorme richiesta di carne per uso alimentare, sta ancora combattendo con problemi quali la fame, la sete e le malattie infettive, nei Paesi industrializzati la spettanza di vita ha ora raggiunto i 75-85 anni. Essere onnivori significa poter scegliere tra cibi più adatti (di origine vegetale) e cibi meno adatti (di origine animale) per la salvaguardia dello stato di salute. L’esempio di come le mucche, animali sicuramente erbivori, nutrite con farine animali siano andate incontro ad una patologia quale l’Encefalopatia Spongiforme (morbo della “mucca pazza”), dovrebbe far riflettere su quanto disastrose possano essere le conseguenze di un’alimentazione incurante dei fabbisogni fisiologici di una data specie o di un dato individuo. L’uomo, in quanto onnivoro, può nutrirsi di cibi animali, ma valutando bene in quale misura; ma certamente non per questo tali cibi devono necessariamente essere consumati. L’uomo, essere onnivoro ma anche essere dotato di intelligenza, può operare delle scelte etiche ed ecologiste per decidere della propria alimentazione, e può ottimizzare il proprio stato di salute con la scelta di un’alimentazione 100% vegetale, compiendo così nient’altro che un’elementare azione di prevenzione primaria di molte patologie. Semplice.

Questi “tanti” con la volontà di imporre le loro scelte, in realtà, non possono essere altri che gli smodati mangiatori di prodotti di origine animale che impongono al pianeta e ai suoi abitanti (animali inclusi) conseguenze ambientali disastrose e costose, costi esorbitanti per la sanità pubblica oltre a un immane olocausto quotidiano di esseri viventi con cui dovremmo condividere pacificamente il pianeta, che non è nostro. Poiché l’argomentazione si conclude con una minaccia quasi biblica “guai” vale la pena notare l’approccio che ha la Bibbia all’alimentazione umana:
- Dio crea i vegetali perché servano da cibo agli animali, uomo incluso: “E Dio proseguì, dicendo: “Ecco, vi ho dato tutta la vegetazione che fa seme che è sulla superficie dell’intera terra e ogni albero sul quale è il frutto di un albero che fa seme. Vi serva di cibo. E a ogni bestia selvaggia della terra e a ogni creatura volatile dei cieli e a ogni cosa che si muove sopra la terra in cui è vita come un’anima ho dato tutta la verde vegetazione per cibo”. E così si fece.” Genesi 1:29,30
- Poi qualcosa cambia e, dopo il diluvio, Dio autorizza l’uomo a cibarsi di carne: “Ogni animale che si muove ed è in vita vi serva di cibo. Come nel caso della verde vegetazione vi do in effetti tutto questo.” Genesi 9:3
- Dio stabilisce delle regole su come mangiare carne, chi brama (bramare non è una necessità) mangiare carne deve uccidere l’animale con le sue mani dal suo gregge, non deve creare un sistema collettivo che trasformi gli animali in oggetti; per 40 anni sostiene un popolo di oltre un milione di persone con un’alimentazione vegetale (esclusa un’occasione specifica) : “perché la tua anima brama mangiare carne, potrai mangiare carne ogni qualvolta che la tua anima lo brami. … devi quindi scannare della tua mandria e del tuo gregge, proprio come ti ho comandato, e ogni qualvolta la tua anima lo brami devi mangiare dentro le tue porte.” Deut. 12:20,21
In quanto a mortificare il “genio creativo” dei cuochi, posso assicurare che i cuochi sono, quasi tutti, persone consapevoli di essere preparati e competenti artigiani, modesti nel porsi e nel confrontarsi, nessuno di loro ambisce a sedersi di fianco a geni tipo Einstein o Leonardo. Credo che lo spirito giusto con cui si debba andare a Identità Golose sia quello di cogliere il meglio dalle performances a cui assisteremo, non è un luogo sacro, anzi è più probabile il contrario, luogo superaffollato e piacevole occasione di incontro con professionisti che si trovano lì per farsi conoscere meglio, per condividere il loro sapere specifico: cucinare, non sono e non si comportano da geni.