Magrezza, ovvero resistenza all’obesità
alla ricerca del gene perduto
Di: Agostino Grassi
La metà, e forse anche più, della popolazione che vive nei paesi sviluppati o in via di sviluppo è in eccesso di peso. Secondo la teoria del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, vi è un altro 50 % della popolazione che, pur vivendo nelle stesse condizioni ambientali, mantiene un peso normale. Non si dice altro che l’ambiente è diventato tossico, cioè nei paesi sviluppati le condizioni ambientali di benessere diventano avverse per un patrimonio genetico che necessita di condizioni ambientali radicalmente differenti da quelle attuali dell’età moderna.

Ma la domanda sorge spontanea, diceva una battuta di un comico: i geni dei soggetti obesi e quelli delle persone che mantengono un peso normale non sono profondamente dissimili. E allora come si spiega che, nello stesso ambiente, alcuni (la metà circa) ingrassano e alcuni no? Che le abitudini di stile di vita occidentali, come anche quelle dei paesi in via di sviluppo, favoriscono l’obesità è indiscutibile: crescita economica senza precedenti, diminuita incidenza di malattie infettive, possibilità di ottenere cibo quasi senza limiti, ampia disponibilità di cibi preparati ad elevato contenuto di grassi e molto appetibili, vasta possibilità di scelta, sedentarietà. Lo sviluppo della società umana è stata caratterizzata da periodi in cui il cibo e anche i rifugi erano scarsi; in una condizione di questo tipo coloro che mostravano efficiente capacità di immagazzinare energia sotto forma di grasso corporeo sono sopravvissuti. Al contrario, chi dimostrava inefficiente capacità di immagazzinare energia e inefficienza metabolica e quindi un metabolismo elevato, caratteristiche che oggi conferirebbero una resistenza all’aumento di peso e alla possibilità di immagazzinare grassi, dovrebbe aver avuto una selezione al contrario e quindi soccombere.

Seguendo questo ragionamento, questi geni negativi per l’evoluzione, ma favorevoli nell’età dell’abbondanza a non aumentare di peso, dovrebbero essere rari. Chi studia il problema sa che molte ricerche si sono concentrate ad identificare i geni che conferiscono il rischio di sviluppare l’obesità, mentre non risultano studi particolari orientati a individuare i geni della magrezza. Più che di magrezza dovremmo parlare di resistenza all’obesità, cioè identificare quei fattori protettivi verso l’obesità. È affascinante questo termine: resistenza all’obesità, dà l’impressione che questi individui non stiano soccombendo alla attuale esplosione di obesità. Soggetti che, sottoposti alla stessa pressione ambientale, si sono selezionati per resistere a quei fattori che generano l’obesità, per esempio diete ad elevato contenuto di calorie e di grassi.

State attenti però: magro è un soggetto che ha un indice di massa corporea inferiore ai limiti del range di normalità (tra 20 e 25), cioè un BMI inferiore a 17,5; un soggetto resistente all’obesità è invece chi è capace di non ingrassare, pur trovandosi nelle stesse condizioni nelle quali si trovano i soggetti obesi. In uno dei pochi studi per identificare i fattori che conferiscono la resistenza all’obesità, è stato osservato che i soggetti capaci di mantenere il peso, cioè di avere modificazioni del peso non maggiori di 2 o 3 chili in un arco di 5 anni, sono circa il 20 % dei soggetti che hanno 20 anni di età. Questi fortunati hanno la capacità di mantenere il peso senza bisogno di ricorrere a strategie di restrizione, indipendentemente da quanta attività fisica svolgono. I maschi hanno maggiore probabilità delle femmine di riuscire a mantenere il loro peso corporeo. Tra le donne, il fattore che sembra proteggere dall’aumento di peso è una storia priva di diete, non aver avuto gravidanze, non avere mai fumato e non consumare alcolici. I soggetti resistenti all’obesità non sono sedentari e non consumano cibi fast-food. In molte ricerche è emerso che il maggior consumo di cibi fast-food è associato con un maggior introito calorico e una maggiore percentuale di grassi nella dieta ed anche con ridotta attività fisica. Cioè chi va al MacDonalds mangia assai, mangia assai grassi e anche per salire una rampa di scale prende l’ascensore.

Per quanto riguarda l’attività fisica, nessuna associazione emerge dalla quantità del tempo dedicato allo sport e la resistenza all’obesità. Invece sembra che i soggetti resistenti all’obesità hanno un elevato consumo energetico in attività non legate all’esercizio fisico, cioè quelle attività della vita quotidiana non correlate ad esercizi sportivi o di fitness ed includono il tempo in cui si è seduti, in cui si sta in piedi, in cui si cammina e, in particolare, il cosiddetto “fidgeting” o irrequietezza, gesticolazione. Si è scoperto che se un gruppo di soggetti resistenti all’obesità viene iperalimentato, i due terzi dell’aumento della spesa calorica sono attribuibili all’aumento del fidgeting, del gesticolare. Questa sembra una variabile che conferisce resistenza all’obesità. Sono persone che, anche quando stanno sedute, oppure ferme in piedi, possiedono una capacità di dispendio energetico estremamente elevata, che può raggiungere le 800 chilocalorie al giorno. Il fidgeting, il gesticolare, è spontaneo e non richiede l’uso della volontà; il problema è legato al fatto che uno può essere nato “fidget” e difficilmente può diventarlo. In un studio su 1.022 donne è emerso che la resistenza ad aumentare di peso si associa a più tardiva età delle prime mestruazioni, elevata autostima, assenza di perfezionismo e di alterazioni dell’immagine corporea. Concludo con la riflessione che, alla luce dei dati fino ad adesso conosciuti, le probabilità di conferire una protezione all’obesità sono assolutamente irrisorie e che invece c’è la necessità di uno sforzo importante se si vuole mantenere un peso corretto