Riserva San Massimo il Carnaroli
Percorso filologico nella filosofia di un'impresa sostenibile
Di: Gabriella Coronelli
l riso è un cibo bellissimo. E’ bello quando cresce, file precise di gambi verde brillante che si stagliano verso il sole estivo; è bello quando viene raccolto, covoni dorati in autunno, impilati in risaie simili a patchwork; è bello quando, trebbiato, si riversa nei silos come un mare di piccole perle; è bello quando è cucinato da una mano esperta, bianco splendente e dolcemente fragrante. – Shizuo Tsuji


Carnaroli, chi era? Uno che amava tanto il riso da crearsi il suo personale?
No, il sig. Carnaroli, nel 1943, in piena guerra, era un milanese che di professione faceva il “regolatore dell’acqua” colui che distribuiva l’acqua agli agricoltori, inclusi i risicoltori; da tempo assisteva ai tentativi di Ettore De Vecchi, della Cascina Casello a Paullo, di creare il riso perfetto per la cucina milanese. De Vecchi aveva le idee chiare su quale fosse l’obiettivo da raggiungere, dopo vari tentativi ancora non era soddisfatto e quando il sig. Carnaroli si rese conto che i risultati sperati da Ettore non si vedevano, chiese allo stesso: “Dutur, se fém?” la risposta fu una promessa “bisogna avere pazienza, quando raggiungerò il risultato perfetto, quel riso porterà il suo nome”. Nel 1945 Ettore De Vecchi raggiunse l’obiettivo e nacque il Carnaroli, a 30 km dal centro di Milano, dove il riso alimentava da mesi la città occupata arrivando di contrabbando da Novara, portato dalle mondine che, con il buio, arrivavano in bicicletta con il riso nascosto addosso.

Il Carnaroli è il riso della rinascita del gusto equilibrato della cucina milanese, una cucina sussurrata, intima come i cortili della città dove si esprime al meglio accogliendo le famiglie intorno a tavole che hanno conosciuto il silenzio e il dolore dell’occupazione, dei bombardamenti.
In Riserva San Massimo si ritrovano l’attenzione, la volontà, la pazienza, valori che alimentarono la ricerca originale da cui nacque il Carnaroli. In una di quelle rare utopiche giornate di primavera regalate dalla fugace primavera di quest’anno, a fine marzo, in Riserva San Massimo siamo stati accolti e guidati nel “bozzolo” che al suo interno coccola e nutre il Carnaroli. A guidarci Dino Massignani, artefice con il suo staff, di una rinascita che ha portato il Carnaroli Riserva San Massimo nelle cucine degli chef più creativi, più arditi, più capaci di inventare architetture del gusto inattese, equilibrate, sorprendenti che salvaguardano ed esaltano il magico sapore di questa graminacea modesta, orgogliosa, superba, empatica che ha alimentato popoli ad ogni latitudine e qui si esprime come simbolo di una cultura, di un’arte minimalista dal fascino toccante tipico di chi è sintesi tra terra cielo acqua aria e fuoco.

Lungi dall’essere un percorso lungo la catena produttiva del Carnaroli Riserva San Massimo, è un’escursione nella filosofia che anima questa impresa così come Massignani ama spiegarla con la padronanza di un papà consapevole di dover fare scelte che alimentino il futuro di una risorsa complessa che vive in simbiosi con un sistema ecologico unico.
“I frutti cadono e rimangono lì, vengono mangiati dagli animali, anche quelli in migrazione” la Riserva alimenta un complesso e vasto ecosistema, l’uomo qui riveste il ruolo che gli venne affidato da Dio in principio “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza. Abbia autorità sui pesci dei mari, sulle creature alate dei cieli, sugli animali domestici, su tutta la terra e su ogni animale strisciante che si muove sulla terra”.
L’uomo esercita la propria autorità in quanto coordinatore di un bene cha ha valore sistemico ed esercita correttamente questa autorità nella misura in cui possieda la percezione sistemica acquisita nel tempo conoscendo, osservando e analizzando cause ed effetti che generano la realtà.

20 ettari – un ettaro sono 10.000 mq – sono coltivati a mais e lasciati a perdere, i raccolti sono disponibili per tutto l’inverno per alimentare gli animali residenti e quelli in transito.
Tutti gli animali sanno dove trovare il cibo, riconoscono il rumore del trattore che va a distribuire il cibo nei boschi e nei prati e lo seguono fiduciosi che non gli sarà fatto del male; i fagiani riconoscono l’odore che produce la fermentazione del seme – sia mais che riso – e capiscono che i germogli sono spuntati, si lanciano e con il becco catturano con precisione matematica il germoglio, per evitare che facciano strage di germogli viene distribuito il cibo che consumano con piacere, come noi: se dovessimo cacciare un fagiano forse ci metteremmo 10 giorni per scovarlo e catturarlo, perdendo la poesia e la voglia di mangiarlo, ma se lo troviamo in un piatto preparato da uno chef … la cosa è ben diversa.
Anche lo scarto che esce dalla riseria viene messo in giro per boschi e campi, questo riduce il danno generato che, comunque esiste, quando il riso comincia a germinare è talmente tenero e dolce che i fagiani fanno di quelle rasate!!!

San Massimo ha avuto un’escalation veramente importante nella quantità e qualità della distribuzione, per scelta sono partiti dai Clienti più esigenti, gli chef, che sanno apprezzare il valore del prodotto; gli altri produttori osservano con sospetto e incredulità le scelte fatte in Riserva, è un ritorno al passato interpretato in chiave di sostenibilità non solo per l’impresa umana ma per il sistema ecologico nel suo insieme; non solo competitor anche “diversi”. Dino Massignani è originario della provincia di Novara, ha visto l’involuzione ambientale imposta dalle scelte dei coltivatori che sono premiati dal mercato e retribuiti dalla Comunità Europea che eroga contributi in base alla superficie coltivata, così, se riesci a seminare il riso anche nell’orto di casa, te lo pagano; la conseguenza è stata la distruzione sistematica di ogni forma di vita che non fosse riso, riducendo il paesaggio a lande anonime prive di significato, di storia, contaminate dalla chimica che ha preso il posto di un sano sistema ecologico, “lì non c’è più biodiversità, non c’è più niente, non c’è più un pesciolino, non c’è più una rana, libellule ormai sono 20 anni che a Novara non ne vedo”.

La Riserva è dotata di fontanili naturali che alimentano i campi, l’acqua, limpidissima alla fonte, diventa più scura verso la casa padronale, ha percorso boschi e campi si è arricchita di sostanza organica che va ad alimentare i campi tutti dotati di una bocchetta di entrata ed una di uscita dell’acqua per sfruttare la sostanza organica in modo omogeneo, questo è un vantaggio perché gli apporti di azoto di cui ha bisogno la pianta del riso sono importanti e dare un approvvigionamento continuo con l’acqua è qualcosa di unico e vitale soprattutto per il Carnaroli.
Le specie viventi si autoregolano da sole, ma se si comincia ad intervenire, come a Novara che fanno 3 trattamenti di insetticida per combattere il curculionide acquatico, poi 3-4 passaggi di prodotti chimici, poi altri trattamenti chimici per ogni insetto, per ogni esigenza nutritiva della pianta, è chiaro che i residui chimici rimangono, distruggono la vita e modificano il gusto e i valori nutrizionali del riso.
Su 800 ettari di Riserva, quelli coltivati a riso sono 200, molti campi non danno nemmeno il raccolto perché le erbe lo soffocano, allora si fanno interventi meccanici: l’erba viene tagliata prima che vada in seme; i campi sono lavorati fino a 3 contrasti meccanici, allora qualcosa cresce.

100 ettari sono destinati al Carnaroli, 2 campi, i migliori, poi 2/3 campi sono lasciati ad erba perché cresce un fungo che attaccherebbe gli altri campi, quindi sono lasciati a secco; della pianta si osservano le foglie, il colore, la tonalità chiara indica che la pianta ha bisogno di azoto; anche le concimazioni sono testate e verificate: vengono utilizzati i sovesci, è stata utilizzata la vinaccia di Capovilla, il cippato del legno, sempre e solo sostanze organiche, attualmente viene utilizzata la cornunghia.
Sono tutte tecniche affinate nel tempo osservando e provando fino a trovare la soluzione migliore che salvaguardi l’integrità, l’aura, del Carnaroli.
La trasmissione le Iene ha portato la Riserva San Massimo come modello di agricoltura per l’impegno di non utilizzare sostanze chimiche e fanghi tossici di origine urbana e industriale. Il Link per vedere il video – merita, è breve.
All’interno di questi fanghi si generano principi attivi incontrollabili, sono scarti di depurazione ricchi di metalli pesanti che, inevitabilmente vanno nel riso, le imprese pagano gli agricoltori per buttarli sui campi, risolvono il problema dello smaltimento, la legge che regolamenta queste attività si presta, volutamente, a interpretazioni e applicazioni molto personalistiche: non è indicata la classificazione se sul secco o sull’umido per cui se hai una soglia di 10 sul secco e lo diluisci con il 50% di acqua il valore scende a 5, quindi sei in soglia e lo puoi utilizzare , è assurdo e dannoso per la pianta, per l’ambiente e incide sulle possibilità di futuro dell’intero sistema ecologico. In Riserva tengono conto anche del fatto che a 70/80 cm. di profondità c’è la falda sotterranea che non permette all’acqua di penetrare velocemente aumentando l’acidità del terreno rallenta la decomposizione della sostanza organica, la pianta assorbe tutto quello che gli viene fornito migliorando la struttura sia della pianta che del chicco che terrà meglio in cottura e avrà un gusto più preciso, piacevole e globale; il ciclo del Carnaroli è di 165 giorni, per 165 giorni gli apporti di nutrimenti devono essere regolari, privi di picchi che farebbero soffrire la pianta e porterebbero danni al riso.

In Riserva crescono colonie di essenze arboree che, in Lombardia, esistono solo qui, vanno protette, perciò si costruiscono gabbie per evitare che le nutrie le mangino. Le nutrie rappresentano un costo di 80.000,00€ l’anno, sono state importate da allevatori di pellicce che, arrivata la crisi, le hanno abbandonate, non hanno nemici naturali (dovrebbero importare qualche coccodrillo), un mese prima di immettere l’acqua nei campi viene fatta un’ispezione accurata per riparare i danni causati dalle nutrie. Vivere integrati in questo “sistema” consente a Massignani e al suo staff di cogliere, anticipare gli effetti ambientali che si manifestano prima sulla flora, lo vedono dai comportamenti degli animali, per esempio quest’anno, per la prima volta, le nutrie hanno cominciato a riprodursi anche d’inverno.
Negli anni 70/80 del secolo scorso, il Carnaroli veniva seminato la prima decade di aprile ora è seminato i primi giorni di maggio. Le temperature sono salite e accorciano il ciclo vegetativo della pianta perché la pianta, che cresce anche di notte, rallenta la crescita di notte se le temperature sono basse, diversamente il ciclo è anticipato, quindi per consentire un regolare sviluppo ritardiamo la semina e la raccolta.

La Riserva San Massimo è la più importante area naturale della Regione, qui vive l’ontaneto più grande d’Europa. L’ontano nero, un grande signore che ha attraversato e sostenuto la storia delle civiltà mediterranee e del nord Europa; Alnus glutinosa, dal celtico “al lan” ovvero presso le rive, il 50% del peso specifico di questa pianta è costituito da acqua; la foresta invisibile su cui si regge Venezia è fatta di ontano nero. La pianta ha radici che si sviluppano in profondità, era considerato l’albero delle streghe per le sue doti curative, la sua linfa rossa è depurativa per la terra, l’acqua, l’ambiente circostante. In Riserva tutti gli alberi che cadono, a causa del vento o perché soffocati da piante più imponenti, rimangono a terra ospitano colonie di insetti, farfalle, e micro-organismi di cui si alimenteranno gli uccelli insettivori. Tra giganti del bosco, felci ancestrali, fioriture esibizioniste, erbacee fantasiose, spuntano spiritosi alberelli di ciliegie figli di semi portati da uccelli a testimoniare che in questo cosmo tutti si danno un gran da fare, tutti hanno spazio per vivere contribuendo ad un armonico organismo di cui il Carnaroli è sintesi materiale e spirituale di un rito sacro che si perpetua nel silenzio di un profondo abbraccio tra l’uomo e le superbe risorse di cui siamo solo custodi.

Il Carnaroli è condivisione, convivialità, si circonda di gusti che allargano il piacere non solo della degustazione anche della condivisione, di storie trasversali alimentate da valori e percorsi simili, caratterizzate da schemi genetici plasmati dal tempo e da meravigliose forze cosmiche … quelle che la neurofisiologa Erica Poli definisce: amore.
Così ad attenderci per un aperitivo dal gusto avventuroso con stile, in un gazebo rustico e funzionale, una Range Rover attrezzata che ospita un efficiente elegante cantina viaggiante ha portato in loco Roberto Lechiancole inventore e creatore di una cantina che porta un nome guado ad una dimensione evocativa e attraente “Prime Alture”.
Quella fascia collinare, la prima fascia, di Casteggio percorsa dal 45° parallelo, “il parallelo del vino” perché percorre e lega tutti i territori di riconosciuta qualità come il Piemonte, il Bordeaux, l’Oregon e la regione Caucasica da cui tutto ebbe inizio.
Imprenditore milanese, nel 2006 scopre questa terra, non resiste al fascino e con Anna, la moglie, avvia una nuova avventura con l’intento di dare vita a nettari che abbiano il gusto l’essenza di questa terra luminosa, morbida, lembo estremo dell’Appennino settentrionale proteso nella Pianura Padana, costituita da un “Complesso Caotico” vale adire corpi derivanti da processi di tipo sedimentario – brecce argillose e brecce sedimentarie – e corpi di origine tettonica – tettoniti; una lirica antica paziente e carica di energia.

Roberto raccoglie intorno a sé una squadra giovane e motivata, la figlia e il marito, un enologo – Jean François – al quale un giorno Roberto chiese “potrò mai fare un Pinot perfetto?” lui rispose “Tu no, ma io per te sì”. E nacque “Io Per Te”, 100% Pinot Nero, un metodo classico che è un inno alla gioia, affinato a lungo in bottiglia, possiede sentori ammalianti inizialmente fruttati di pesca a polpa bianca, poi ti avvolge la morbidezza della frutta secca tostata e chiude un sentore evocativo di pane fresco che sorprende e persiste. Al palato offre una sensazione piacevolissima di cremosità avvolgente con un retrogusto minerale lungo brillante persistente.
Non ho degustato gli altri nettari della cantina, riservandomi un viaggio di scoperta in questo luogo che Roberto e la famiglia hanno “Dedicato a coloro che amano i piaceri della vita” un wine resort, vigne ospitalità orto e griglieria, un’esperienza totalizzante che va fatta.
A tavola i vini della cantina hanno accompagnato le preparazioni di Enrico Gerli chef capace di inventare sapori e colori seducenti esaltando le caratteristiche del riso, il dessert è il gelato di Vero Latte all’azoto.