Salvatore Russo:Seo&Love = Paolo Iabichino:Nutella
Salvatore Aranzulla ha un metodo è credibile esprime contenuti non spot pubblicitari
Di: Gabriella Coronelli
Se fosse stato Aranzulla a fare una difesa buonista dell’inutile Nutella sarebbe stato più credibile, avendola fatta Iabichino è stata una marketta priva di autorevolezza. Servita a mo’ di sandwich: 20 minuti di varie assortite, 3 minuti di Nutella, 6 minuti di ulteriori varie e assortite.

Il contesto era decisamente interessante, Seo&Love convegno organizzato da Salvatore Russo, la partecipazione di profili avvincenti, molti giovani, argomenti stimolanti che motivano alla crescita, un’accorta evoluzione rispetto all’edizione dello scorso anno.
Per l’età e il CV, Paolo Iabichino, CEO di Ogilvy & Mather Italia, avrebbe potuto fare un intervento stile Kotler, tenerci tutti in silenzio col fiato sospeso ad ascoltare; invece è stato un intervento cabaret stile Renzi, con un certo numero di frasi sussurrate a parole arrotolate, così che nessuno capisse il concetto del pensiero intero, ho avuto la tentazione di pensare di essere l’unica a non capire ma anche chi mi stava intorno continuava a ripetere “non si capisce niente” – ed eravamo in quarta fila.
Autorevolezza: Philip Kotler: 8 Ways to Market Your Way to Growth – a Milano nel 2013
La parte iniziale dell’intervento – strategia sandwich – è stata dedicata alle imprese che raggiungono obiettivi finanziari, profitto, non trascurando e risolvendo problemi sociali. Ne è un esempio Óscar Pérez Marcote, CEO di Zara che è stato premiato come migliore al mondo grazie all’iniziativa di ritirare l’abbigliamento usato per donarlo ad associazioni umanitarie; la stessa classifica 2 anni fa metteva in testa Jeff Bezos, fondatore di Amazon, precipitato quest’anno al 71° posto, ciò a indicare che oggi sono altri fattori, non solo il profitto, che decretano l’eccellenza di un’impresa, in particolare: l’impatto sul collettivo, la sostenibilità, i valori sociali.
A questo punto è stato proposto un quesito interessante: quando parliamo di online davvero vogliamo indicizzare o vogliamo indirizzare le persone verso di noi?

Non è stata data una risposta, è stata fatta una quasi profezia: “è pericolosissimo il gioco che stiamo giocando negli ultimi tempi; ed è vero per l’informazione, per la pubblicità, per la scuola, è vero per la politica, è come se avessimo sporcato internet.
Questa conclusione è determinata dal fatto che “raccolta pubblicitaria” significa guadagnare click, si basa sul sensazionalismo, sulla fack-news, sul titolo costruito ad-hoc, queste sono le regole della SEO.”
Ciò può essere vero per chiunque faccia pubblicità – tipo Ogilvy appunto – non per chi fa contenuti – tipo Aranzulla – perché la pubblicità delle grandi agenzie ha portato in rete la stessa vecchia obsoleta cultura dello spot, non fanno in-bound maketing ma praticano una violenta e ossessiva forma di out-bound marketing.
Vale la pena qui tirare in ballo Philipe Kotler, uno che parla sempre con grande autorevolezza, fornendo risposte, il suo ultimo lavoro “Marketing 4.0” si chiude con il capitolo risolutivo a tutte le argomentazioni precedenti definendo che il marketing 4.0 è il Marketing Umanistico dove “ci si relaziona con i clienti in quanto esseri umani completi, con una mente, un cuore e uno spirito. Non ci si limita a soddisfare le esigenze funzionali ed emotive dei clienti ma si risponde anche alle loro ansie e desideri latenti”.
(Piccola parentesi: Nutella si preoccupa forse delle ansie di genitori che gradirebbero avere figli non obesi? Come? Eppure è un fattore di grande ansia visto che 1 bambino su 3 – tra i 6 e gli 11 anni è sovrappeso – e uno su 4 è obeso.)

Kotler definisce il marketing umanistico lo strumento più efficace per stimolare la brand attraction nell’era digitale, il processo consiste nel portare in luce le ansie ei desideri latenti dei consumatori attraverso l’ascolto sociale, la netnografia – etnografia centrata su internet, e la ricerca empatica.
Curioso notare che anche il libro Scripta Volant di Paolo Iabichino mette “ascolto” come prima voce del nuovo alfabeto per scrivere la pubblicità, Kotler va oltre parla con precisione di “ascolto sociale” e fa riferimento alla “proattività” e all’“ascolto empatico”, discipline insegnate da Stephen Covey, consolidate dall’applicazione fatta da aziende e sistemi sociali.
Non ha importanza che Coca Cola prenda posizione rispetto al problema dell’immigrazione – in realtà cavalca l’onda emotiva, non prende nessuna posizione – importante sarebbe che avesse il coraggio di suggerire di non portare in tavola la Coca Cola e indicasse soluzioni pratiche al gravissimo problema dell’obesità – causa del 75% delle malattie degenerative. Questo sarebbe “ascolto sociale”.
Gli spot pubblicitari sono fatti per vendere, raccontano storie emozionanti per vendere il loro prodotto, non perché sodalizzino con gli immigrati – cosa fanno praticamente per loro? – desiderano mettere a tacere la coscienza dei consumatori rassicurandoli che anche il più grande produttore di birra americana è stato un immigrato – saltano a piè pari sul fatto che il problema non è la migrazione ma la clandestinità che genera ansia nei cittadini delle diverse nazioni.
Sono fermi al marketing 3.0, il marketing emotivo.

Parlare comunicare il cibo è un’attività sociale deve essere praticata attraverso il marketing umanistico perché l’impatto che il cibo ha sul sistema, sugli equilibri universali, è enorme e spaventa, preoccupa genera ansia per il futuro, il sospetto è che non sia “capace di futuro”.
Siamo alla Nutella – seconda fase sandwich – tra i 10 Most Brand internazionali …. Qui, Iabichino, ci racconta un episodio: la puntata di Report in cui hanno costruito la “contronarrazione”, la Gabbanelli “che Dio la benedica” – immagino invochi la benedizione non per la Nutella ma per le terribili vicende di guerra di cui è stata testimone – con la sua indagine sull’olio di palma fa fare una pessima figura alla crema più spalmabile che ci sia – solo quello il suo plus – ma “loro”, quelli dell’agenzia Ogilvy, erano collegati a tutti i feed del mondo, quindi estrae dalla tasca lo smartphone e legge 3 twitt: il corpo umano è composto dal 25% di sangue dal 75% di olio di palma almeno il mio, Report ti prego la nutella no, Report riesce a frantumare il c… anche alla nutella. In sala tutti applaudono, si chiama compiacenza nonostante sia palese la mancanza di rispetto verso un pubblico qualificato a cui avrebbe dovuto offrire più professionalità. “Da una parte hai la contronarrazione straordinaria, giornalistica, dall’altra vedete come, quando la marca entra così in contatto con le persone, la contronarazzione arriva verso il pubblico e … “ non si capisce ciò che sussurra, immaginiamo.

Provo tenerezza, auspico che sia solo una sceneggiata per i 650 SEO presenti e che Iabichino sappia bene che la credibilità del suo spot “sussurrato” – lo ha definito – con le belle piantagioni di palme, i lavoratori felici, l’olio di palma sostenibile è meno di zero rispetto alla credibilità di quanto pubblicato dai numerosissimi contenuti disponibili in rete che raccontano cosa ci fosse prima di quelle piantagioni in quei luoghi e come le foreste autoctone siano state bombardate e distrutti i biosistemi ospitati – incluse comunità umane e animali – la realtà è che “quello estratto dai frutti della palma è l’olio vegetale più economico disponibile sul mercato, con un prezzo di circa 800 dollari alla tonnellata rispetto agli 845 dollari dell’olio di girasole e ai 920 dell’olio di canola, per citare solo due possibili sostituti. Dato che Ferrero utilizza circa 185mila tonnellate di olio di palma l’anno, ai prezzi attuali la Reuters calcola che la sostituzione costerebbe all’azienda tra gli otto e i ventidue milioni di dollari.”
Altra cosa sarebbe stata la presentazione di dati precisi, non 3 twitt, per cogliere il ruolo della SEO in attività pubblicitarie.
La Nutella non è cibo, è un prodotto di marketing 1.0 e noi prendiamo posizione, seguiamo il consiglio di Iabichino, non ci facciamo intortare da uno spot e avremmo preferito sentire parlare di SEO non di Nutella, non la utilizziamo neanche per impacchi ai piedi, figuriamoci se la mangiamo. In un barattolo da 400 gr di nutella ci sono: 200 gr di zucchero, 80 ml di olio di palma, 52 gr di nocciole, 29 gr di cacao, 26 gr di latte in polvere … quindi, non una crema di nocciole ma un unguento di zucchero e olio di palma aromatizzato con nocciole e cacao.
Con questo video si chiude il sandwich: chi sono i millenials con cui dovremo interloquire nei prossimi anni?
Bello, il “panino” si chiude in bellezza, indiscutibilmente, operazione di marketing umanistico meglio della nutella … l’argomento è che la molteplicità di persone che si fermano e interagiscono con la statua della bambina corrispondono al nostro pubblico, alle persone con le quali dovremmo condividere, socializzare per comunicare. È vero ma non sono solo quelle sono molte di più e sono minimamente rappresentate nel video – si era detto di non usare etichette, cosa sono i millenials? – in comune con i profili ripresi nel video è che il nostro pubblico interagisce, non è passivo, ha un merito eccelso perché si manifesta ci dona il suo valore aggiunto e si attende che noi lo si utilizzi nella definizione di una comunicazione rispettosa.
L’arte, la cultura, il territorio, la coerenza, la coscienza sociale, la sostenibilità intesa come capacità di futuro, la consapevolezza, sono tutti ottimi trasmettitori di valori e, quando si parla di cibo, il cibo può essere tutto: arte, cultura, territorio, coerenza, coscienza sociale, convivialità, consapevolezza oltre a benessere, gioia, condivisione, futuro.